Cronache di Gusto – Recensioni di Giovanni Paternò
Carricante e Catarratto. Il Carricante è il vitigno bianco tipico dell’Etna, anzi è l’autoctono bianco del vulcano.
Una vite molto vecchia, già descritta nel settecento, una vite che cresce bene in altitudine per cui era impiantata dove il Nerello Mascalese, l’autoctono rosso, non se la passava bene. Il nome indica un’abbondante produzione, anche perchè nel passato il vanto era produrre molto.
Fino a pochi anni fa cresceva solamente nelle falde dell’Etna, ora qualche produttore timidamente comincia anche ad impiantarlo nel trapanese, nel ragusano ed in totale sono poco più di 100 ha. La vendemmia è in ritardo, in genere ad ottobre inoltrato. Dà vini con acidità fissa elevata, ricchi di acido malico, capaci di invecchiare serenamente per parecchi anni, insomma un vitigno che per le sue qualità è molto attenzionato, nonostante le ancora poche quantità. Del catarratto potete leggere qui.
La zona dell’Etna Doc forma una fascia a forma di C rovesciata che va da nord a sud del vulcano passando ad est, con quote comprese tra i 400 e i 1000 metri, caratterizzata da forti escursioni termiche giorno-notte. Il disciplinare del bianco comprende il Carricante almeno al 60%, il Catarrato al massimo al 40% e anche altri bianchi fino al 15% purchè “a sapore non aromatico” come recita il disciplinare.
Proviamo l’Etna Bianco Doc 2010 della Tenuta Monte Gorna, una minuscola casa che affronta, già con riconoscimenti, il difficile mondo enologico e che dimostra che con passione e sacrifici, anche nel piccolo, si possono produrre e vendere ottimi vini. Anche se la sede legale è a Leonforte, siamo in comune di Trecastagni, in zona Parco dell’Etna, nelle vicinanze del monte Gorna, un piccolo vulcanello spento, a circa 750 m s.l.m. Il bianco è prodotto in un ettaro e mezzo di vigna giovane allevata a spalliera, a cordone speronato.
Rosario Licciardello ha ripreso il lavoro degli antenati, espiantando vecchi vitigni e impiantando le varietà proprie della DOC. In campagna è assistito da Nicola Gumina, in cantina da Maria Carella.
La vendemmia nella prima decade di ottobre e i grappoli, scelti, tolti i graspi, sono criomacerati per 24 ore. Dopo una soffice pressatura il mosto decanta staticamente per 48 ore e fermenta in acciaio per circa un mese a temperatura controllata per poi maturare sulle fecce fini per tre mesi e in bottiglia per altri quattro.
Nel bicchiere il colore è giallo paglierino intenso e appena avvicinato al nasosi avverte il floreale dove spiccano la ginestra e il gelsomino. Continuando l’ossigenazione i sentori cambiano, i fiori si appassiscono e il vulcano invade il calice. Si sentono la pietra focaia e una mineralità complessa. E’ proprio l’odore del vulcano, non un odore sulfureo ma quello proprio della terra lavica, della sciara, cioè di quel terreno fatto di sassi, lapilli e cenere ancora non vegetato. Bisogna esserci stati sull’Etna, nelle zone più alte, a respirare queste possenti sensazioni di natura selvaggia ed affascinante nello stesso tempo. Una bella franchezza e previsione di trovarci al cospetto di un vino molto secco.
Infatti al palato si avverte un vino asciutto, ben equilibrato, ove predomina il sapido e dove i fiori di campagna si gustano appena. E’ caratterizzato da una bella acidità, una gradevole freschezza che invade la bocca. Piacevolissimo.
Un vino che a tavola con i suoi 12,5% di alcol si accompagna bene ad una infinità di piatti e che si sposa perfettamente con i pesci grassi; noi lo consigliamo con uno sgombro alla griglia, con alici o sarde infarinate e fritte, con una ricotta infornata.
La produzione è di sole 2.800 bottiglie ad un prezzo medio di 10 euro.
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